Forse perché la nostra presenza sulla terra è fatta da un suono, una frequenza, un cumulo di vibrazioni che ciascuno di noi, come può, deve restituire al mondo, al meglio delle proprie capacità.
Il fotografo è l’occhio di chi non viaggia, di chi non vede, di chi non si accorge e vive per raccontare a questi ciechi del secondo millennio, ciò che non hanno mai visto o di cui non si sono mai accorti, regalando loro l’altro lato della luna, quella riservata ai visionari.
Ciò nonostante la fotografia è e rimarrà sempre dannazione, perchè non consentirà mai di registrare il timbro di una voce e la forma di un sorriso: la prima cosa che si perde quando una persona si allontana. Questo limite può essere superato solo avendo la fortuna o la capacità di cogliere l’attimo fuggente, riuscendo a rendere immortale chi sta per andare via o ti è apparso di fronte solo per un attimo. Solo così, gli scatti, una volta fatti, entreranno a far parte del tuo corpo, si perderanno nei labirinti del tuo cervello, della tua mente, della tua memoria. Solo così la fotografia ti renderà immortale impedendoti di pensare al tempo che passa, alla tua età biologica, divenendo voce contro il silenzio: Tiziano ha dipinto dei quadri bellissimi a ottant’anni. Ed anche Renoir, Rodin, Picasso hanno prodotto il meglio nell’età avanzata.
Quando ci svegliamo pensiamo: Oggi potrebbe essere l’ultimo giorno, e riguardiamo nostri scatti, viaggiando nel tempo o andiamo fuori a cercare altri momenti con tutto il corpo, con tutti i libri che abbiamo letto, le persone che abbiamo amato, con l’eccesso, la lussuria, la dolcezza di un bambino, l’ingenuità di un poeta.
Lo sguardo fotografico è questo ed altro ancora.